Dalila Bachis, 34 anni, nata a Cagliari ma residente ad Arezzo, si è raccontata a RID Radio Incontro Donna 96.8 FM durante la trasmissione di “Sempre più in forma green”, che conduco tutti i mercoledì dalle 12 alle 14.
Dalila è assegnista di ricerca in Linguistica italiana presso l’Università degli Studi di Siena.
Ha svolto attività di didattica nelle scuole dell’obbligo e all’università; collabora con l’Accademia della Crusca, si occupa di linguistica educativa e linguaggio inclusivo.
Con lei abbiamo voluto parlare proprio di questo, di sessismo all’interno della grammatica italiana, perché la parità di genere passa anche attraverso la lingua.
Grazie Dalila per essere con noi, tu studi tematiche come il sessismo nella grammatica italiana e all’interno dei libri scolastici. Qua a RID sono argomenti che ci piace trattare, perché si parla proprio di parità di genere. Il tuo lavoro è davvero molto importante in questo senso, ce ne vuoi parlare?
Sì! Io sono un’assegnista di ricerca, questo significa che collaboro a dei progetti con l’Università di Siena e con altri centri specializzati, in particolare con l’Accademia della Crusca. Mi capita spesso di partecipare a lezioni o convegni che riguardano sia la storia della nostra lingua sia il suo uso contemporaneo, anche per quanto riguarda l’ambito del sessismo linguistico.
Quando si parla di parità di genere si parla anche di rispetto, quando questo manca si tende spesso alla violenza sia psicologica che fisica. Si parte da una cosa più banale come può sembrare quella della lingua, sino ad arrivare a cose più gravi. Tu fai l’assegnista, ma in che cosa consiste realmente il lavoro che stai portando avanti?
Semplificando un po’, il mio lavoro consiste, a seconda del progetto, nello studiare un argomento di ambito linguistico, pubblicare una ricerca a riguardo e poi cercare di divulgarla il più possibile.

Secondo te, tutta questa polemica che gira attorto alla declinazione al femminile di alcuni sostantivi, dipende dal fatto che non siamo abituati a sentirli o ci sono ragioni più profonde?
Ecco, proprio qualche anno fa sono stata chiamata per affrontare e studiare dubbi come questo. La risposta è che utilizzare nomi al femminile quando ci si rivolge ad una donna è grammaticalmente corretto: così come diciamo “cuoca” invece che “cuoco”, allo stesso modo è giusto dire “notaia” o “architetta”. I dubbi sono suscitati dal fatto che è da meno tempo che utilizziamo queste parole: per questo “ci suonano male”.
I nomi al femminile spesso sono legati all’accudimento, come maestra, infermiera, casalinga… è un’analisi giusta questa?
Sicuramente nessuno direbbe che questi nomi femminili suonino male, perché l’associazione dei mestieri di cura alla figura femminile è radicata nella nostra cultura e quindi anche nella nostra lingua. Altri mestieri, al contrario, sono ancora associati maggiormente agli uomini, per questo non siamo abituati a sentire e leggere la declinazione al femminile.
Stai lavorando sui libri per le scuole, dove c’è tanto lavoro da fare perché ricchi di stereotipi…
Si, è vero! Ho studiato nello specifico le grammatiche scolastiche italiane. Ad essere venute fuori sono state prevalentemente due cose: la prima è che le frasi con personaggi femminili sono molte meno rispetto a quelle con personaggi maschili: ci sono più ragazzi e uomini che ragazze e donne.
La seconda è che gli esempi al femminile sono sempre riferiti a contesti, come dicevi tu, legati alla cura. Non si dice mai “Il papà\ lo zio\ il nonno, ha cucinato il pranzo (…)” ma troveremo sempre “La mamma\la nonna\ la zia etc ha pulito la casa\ ha cucinato (…)”. Inoltre, negli esempi e negli esercizi ci sono tante ragazze definite “belle”, mentre i ragazzi solitamente sono definiti intelligenti o simpatici: anche questi tratti appartengono a stereotipi legati al mondo dell’estetica, associata prevalentemente alle ragazze e alle donne.
Bisogna provare ad uscire da questo tipo di narrazione e mostrare altri tipi di esempi, sia al femminile sia al maschile.
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